Un altro atteggiamento religioso che ritengo scorretto, almeno dal punto di vista del Buddhismo Zen, oltre a quello di praticare per paura, è quello di coloro che imbracciano una dottrina, un credo per esserne protetti. Protetti da qualcosa di più grande. Anche in ambito buddhista si equivoca spesso su questo punto, ad esempio quando si parla dei "rifugi". Infatti, la formula che spesso i buddhisti utilizzano per dichiarare la propria adesione al Buddhismo è: "Prendo rifugio nel Buddha, prendo rifugio nel Dharma, prendo rifugio nel Sangha". Questa però è una traduzione fuorviante. In questo modo qualcuno potrebbe pensare che questa adesione lo potrebbe proteggere, cosa che non è affatto vera.
La traduzione corretta ribalta il significato:
Io do rifugio al Buddha!
Io do rifugio al Dharma!
Io do rifugio al Sangha!
Questo è il significato corretto! Il Buddha, il Dharma e il Sangha devono rifugiarsi in me! Non sono io che devo rifugiarmi in loro! E’ questo il punto! Il Buddha, il Dharma e il Sangha devono rifugiarsi in me, e mio preciso compito è proteggere il Buddha, è proteggere il Dharma, è proteggere il Sangha nella vita quotidiana. Se pensiamo che esistano un Buddha, un Dharma e un Sangha in cui rifugiarci dimostriamo non solo la nostra inettitudine e stupidità, ma anche la nostra incapacità nel capire il Buddhismo con chiarezza e in profondità. Ognuno di noi deve accogliere il Buddha, il Dharma e il Sangha, e ognuno, secondo le proprie specifiche capacità, deve dimostrare di esserne protettore. Bisogna ribaltare completamente il concetto, se si vuole parlare correttamente di Buddhismo! Non si può nepure cominciare una seria analisi di questo testo [ Si riferisce al testo di Uchiyama che commenta ne "Il Cammino del Cercatore"], se non si pone come presupposto quanto detto finora.
E’ vero che presso alcune scuole e centri buddhisti, anche molto conosciuti, c’è la tendenza a condsiderare, almeno inizialmente e per i praticanti "ordinari" il prendere rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha nel senso letterale, per ricavarne protezione e sicurezza. Questo va benissimo dal punto di vista della "pace", della serenità che i praticanti possono derivarne, perchè questo modo di fare dona effettivamente pace; ma dar pace non deve significare mettere in piedi un’altra serie di credenze a cui aderire ciecamente. Se dare pace significa mettere in piedi un’altra religione, siamo fuori strada.
Come la vera religiosità, dicevamo prima, non può essere generata dalla paura di andare di qua o di là, bensì dal rendersi conto delle proprie responsabilità in queso mondo, anche credere di essere "protetti" da Cristo, da Buddha, o da Allah penso sia fuorviante. NOI dobbiamo essere i protettori del loro insegnamento, cosicchè possa mantenersi vivo in noi, prendere forma, perpetuarsi da una generazione all’altra. Dobbiamo prenderci cura di essi come se fossero dei bambini piccoli. Se non capiamo questo, continuiamo a brancolare nel buio, e di religione non possiamo neanche cominciare a parlare.
Sono tanti anni che lavoro per il Buddha, per il Dharma e per il Sangha, cerco di proteggerli, e non mi è mai venuto in mente di essere protetto da loro! Questo è quanto mi hanno insegnato fin dall’inizio i mei maestri, non me lo sono inventato io! E’ una responsabilità individuale, personale; il gruppo non c’entra. Ognun per sè, nel suo mondo, all’interno della propria realtà, deve proteggere queste tre cose e non pretendere, o immaginare che esse lo proteggano. Questo mi è stato insegnato e questo trasmetto.
Il Buddha Shakyamuni ha promosso una via di liberazione individuale che favorisce l’attività collettiva, ma non ha mai detto che bisogna sottomettersi ciecamente ad una dottrina. Questo è stato detto da coloro che sono venuti dopo, perchè era conveniente sul piano sociale, tornava comodo, esattamente come tornava comodo al clero di altre religioni, ricco e ben pasciuto, illudere il popolino che divinità e santi, oltre a essersi immolati per la salvezza degli uomini, avrebbero continuato a vederli, a proteggerli, a "controllarli" dall’alto dei cieli.
Questa è una forma di repressione occulta che deriva dall’utilizzo di dottrine religiose finalizzate a tenere sotto controllo la popolazione. Fortunatamente oggi sempre più persone sono in grado di scoprire queste strumentalizzazioni sociali e di depurare la propria pratica da questi condizionamenti fuorvianti. […]
"Il cammino del cercatore" di Massimo Daido Strumia ed. Psiche (pag 61-63)